And, rivista di Architettura presenta lo studio Exposed Press
L’origine greca della parola ‘fotografia’ stabilisce una vicinanza, se non addirittura una sovrapposizione,
con l’architettura: luce (dal greco phôs) e disegno (dal greco gràphô).
La parte centrale di AND è da sempre l’accento multidisciplinare al tema del numero in corso e AND
24, raccontando l’architettura italiana in filigrana, senza grida o autereferenzialità, vuole arricchire
la proiezione di questa storia attraverso la conoscenza del mondo compositivo della fotografia e del
fotografo. Un viaggio dietro la “camera” cercando di testimoniare i processi mentali, le tecniche, i segreti,
i momenti di creatività e di lettura critica che non sono mai evidenti e che il prodotto finale schiaccia
in modo proporzionale alla qualità della foto stessa. Come in tutte le discipline artistiche la costruzione
dell’immagine non si limita all’infinitesimo secondo dello scatto, bensì sottende un percorso compositivo
lungo e spesso complesso. Quando si osserva uno scatto fotografico ci si sofferma soltanto sulla qualità
dell’oggetto fotografato o sui particolari resi evidenti dalla gestione della luce, sia naturale, che artificiale.
L’esperienza professionale, ma soprattutto la cultura del “bello” in tutte le sue manifestazioni, sono in
primis il motore invisibile di questo atto creativo di fermare il tempo attraverso un flash. In questo senso
una fotografia è sicuramente soggettiva proprio perché nel gesto dello scatto c’è la mano del fotografo
strettamente legata al pensiero ed alla sensibilità del suo corpo. Così la camera diventa l’estensione
della sensibilità umana che di volta in volta riesce a cogliere proprio quegli aspetti invisibili che l’occhio
distratto non sa cogliere. La fotografia allora diventa testimonianza e lettura critica. Proprio questo
aspetto “critico” del fotografo è l’elemento che fa la differenza. Andrea Vierucci, sia nel suo modo di porsi
come nelle parole da cui traspare l’origine culturale legata alla sagacia toscana, fa trasparire già quel
senso critico che nella fotografia, anzi nello scatto, riesce ad esprimersi come arte. Nelle sue fotografie vi
è un grande rispetto per l’oggetto da fotografare che si esprime soprattutto nel saperlo isolare fra le cose,
gli spazi, le luci per renderlo unico. La prima operazione compositiva consiste innanzitutto nella gestione
dell’ambiente, anzi la costruzione di un ambientamento capace di rendere esplicita la bellezza di un’opera,
come di un interno o un singolo oggetto.
Il suo lavoro si trasforma in allestitore di una scenografia capace di esaltare, attraverso le tecniche del
contrasto simultaneo e della mimesi, il valore dell’oggetto. La sensibilità di Vierucci deforma e spesso
sottrae dal racconto gli orpelli inutili alla ricerca di un minimalismo non formale, ma di chiarezza
conoscitiva. In un interno anche far sparire un singolo oggetto dalla scena può alleggerire e rimarcare il
protagonista. Un lavoro quindi lungo e attento, da arredatore prima ancora di essere fotografo. Una foto
quindi non è solo banalizzazione di un istante, bensì è ricerca, osservazione, composizione, gestione della
luce e del colore. Come un sarto anche il fotografo, come l’architetto, deve costruire il modello più adatto
al corpo e quindi al significato ed al messaggio di un oggetto. In questo senso il fotografo è laicamente bugiardo
e allo stesso tempo letteralmente onesto poiché riesce a far apparire esteticamente stimolanti architetture o oggetti
che nella realtà non lo sono, oppure al contrario smorzarne la bellezza. La qualità della fotografia riappacifica comunque
sempre queste due sensazioni apparentemente opposte, l’onestà e la bugia estetica. Questo tipo d’approccio è ancor più vero e quindi difficile quando il prodotto finale diventa la copertina di una rivista. La Fotografia in questo caso non è solo l’istantanea di un momento spaziale,
bensì deve condensare in sé molteplici segnali e ammiccamenti capaci di raccontare in una sola pagina il contenuto della rivista. Ecco quindi
che l’operazione dietro la fotocamera diventa importantissima perché è la sintesi di un lavoro di team non solo nell’allestimento dello scatto
finale, ma soprattutto nell’interpretazione della mission generale. Vierucci, che ha fondato con Anna Maria Eustachi lo Studio associato Exposed
Press, ha firmato moltissime copertine di riviste patinate ed internazionali portando ogni volta una “parola” diversa all’interno di una griglia già
consolidata nel tempo. Sapere dal colloquio con Vierucci che spesso la posizione di un cuscino o il suo colore può inficiare questo messaggio risulta
affascinante. I metodi applicati da fotografo sono quindi quelli per “sottrazione” e per “addizione”. La “sottrazione”, come metodo, in questo caso
è forse ancor più semplice rispetto al processo ideativo dell’architetto o del design, perché è un atto esterno e non un difficile passaggio all’interno
dell’iter di un’idea. Per il fotografo il gesto dell’aggiunta invece è maggiormente impegnativo e rischioso. In alcuni casi è il fotografo che
nella scena “aggiunge” e saper scegliere “cosa” e “come” è un atto di responsabilità di forte spessore . L’aggiunta di un tipo di fiore, come di
un libro, come di un oggetto, l’apertura di una tenda, l’evidenza di un particolare che come oggetto della composizione reale ha un ruolo
marginale sono tutti gesti compositivi nascosti ma importanti. È il mondo creativo che vive dietro la Camera. Ma il mondo post scatto è altrettanto
importante nella definizione del messaggio finale. In studio il fotografo non è più solo ma lavora con lo scatto condividendolo con il suo staff in un
processo di valorizzazione sia tecnica che estetica. AND è “Rivista di architetti, architetture e città” per sua definizione, sottintendendo che qualsiasi
creativo di qualsiasi disciplina ne può far parte e in dieci anni di attività e scommesse sono i 24 numeri a testimoniare questa nostro allargamento
del concetto di creatività, non solo all’interno della disciplina architettonica. L’architetto, il designer, non potrebbero ideare se attorno non avessero un mondo di creativi che accelerano il portato culturale delle loro opere. Il fotografo, come atto creativo finale di un opera, “disegna
con la luce”. La luce, come elemento naturale della composizione, che è parte integrante di un’opera architettonica, come dice Le Corbusier:
«L’architettura (…) gioco sapiente rigoroso e magnifico dei volumi assemblati nella luce».